Uomini e professioni di cura: come colmare il gap?

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Uomini e professioni di cura: come colmare il gap? - Diversity Management (diversity-management.it)

Scritto da Cristina Bombelli

Da qualche anno il tema del genere ha acquisito una rilevanza estesa in diversi settori della società. Ambito nel passato relegato alle persone addette ai lavori, si è diffuso in modo rilevante trainando le molteplici iniziative che vanno oggi sotto il titolo di Diversity, Equity & Inclusion.

Un movimento che riguarda soprattutto le aziende, consapevoli del valore aggiunto dal contributo femminile. Tali realtà hanno via via sviluppato programmi che consentissero alle donne accessi a professioni tradizionalmente maschili, ma soprattutto a carriere spesso appannaggio dei colleghi maschi. La ricerca di professioniste ha portato a molteplici interventi di sostegno all’ingresso in università in percorsi di studi più favorevoli, ad esempio nelle materie STEM.

L’assenza del maschile dai luoghi di cura

Allargando lo sguardo al quadro complessivo dei percorsi di studi, in questi anni vi è stata una quasi totale assenza di riflessione sui percorsi segnatamente femminili. In particolare si considerino le differenti articolazioni di “Scienza dell’educazione” (con denominazioni leggermente diverse a seconda degli Atenei) che sbocca nelle professioni di cura dei nidi, della scuola dell’infanzia e della scuola primaria di primo grado.

Inutile dettagliare le percentuali: i maschi non arrivano al 5% nel migliore dei casi, posizionandosi sullo zero in diverse realtà. Questo significa una assenza imbarazzante del maschile nei luoghi di cura.

“L’assenza maschile dai luoghi dell’educare, che appare come un’evidenza invisibile, viene solitamente poco o per nulla nominata, in quanto considerata naturale ed appartenente, nonché determinante, ad una più generale invisibilità” (Mapelli, 2013) [1]

Cause e caratteristiche di un fenomeno diffuso

Chiediamo a Barbara Mapelli, che da sempre si è occupata di questo tema, le ragioni – in primo luogo – di questa paradossale dimenticanza.
“È ancora un tema di stereotipi: probabilmente il sostegno all’ingresso femminile nelle professioni maschili viene interpretato come progresso, in quanto si danno maggiori opportunità di lavoro e di sviluppo; la contestuale riflessione sull’assenza maschile non viene ritenuta importante perché non caratterizzata da maggiore potere sociale”.

Rimane il fatto che nella ricerca di un equilibrio di genere nei luoghi di lavoro questa assenza di riflessione, dopo anni di approfondimenti, svela molto dell’interiorizzazione dei “compiti” assegnati al maschile e al femminile.

“Ma non si tratta solo di una realtà italiana, notoriamente poco sensibile in generale alle tematiche di genere: anche nella maggior parte degli altri Paesi europei l’attenzione è rivolta ai percorsi femminili, non vi sono strategie dirette a superare gli stereotipi sessuali che condizionano le scelte degli uomini”.

Una volta messo in luce il tema da affrontare è necessario interrogarsi sulle cause che lo generano. Mapelli sottolinea: “Si sovrappongono diverse possibili motivazioni alla non scelta maschile di questi percorsi di studi. L’aspetto economico, spesso invocato, non appare essere determinante in quanto molte altre professioni sono simili come potenziale guadagno, ad esempio nella sanità. A mio parere il lavoro di cura viene automaticamente associato al femminile come se gli uomini non potessero esserne all’altezza. Inoltre il fatto che siano essenzialmente le donne ad occuparsi della cura, nella divulgazione sociale, porta a “svilire” il contenuto professionale”.

L’esigenza di nuovi modelli educativi e professionali non stereotipati

Inutile negare che nel passato la cura maschile veniva interpretata come un diminuzio della virilità, stereotipo che ancora permane in alcuni ambiti della società. Fortunatamente, questa dimensione sembra oggi superata della realtà dei “nuovi padri”. Uomini che rivendicano il loro ruolo nel contesto familiare, nel dedicare il proprio tempo e la propria creatività e nel contribuire alla crescita dei figli. Eppure questa tendenza non sembra trovare cittadinanza sia nelle scelte di percorsi di studio che professionali.

È evidente che si tratta di un campo nuovo dove è necessario agire da parte dei diversi attori sociali. In primo luogo, occorre svelare questa assenza, nominando il fenomeno – come è stato fatto per il femminile nelle materie scientifiche. Successivamente, serve orientare le giovani generazioni verso scelte non stereotipate che possano sviluppare il potenziale di ogni persona conoscendo a fondo cosa richiede una professione.
“I pochi uomini che scelgono di entrare in queste professioni – sostiene ancora Mapelli – sono molto motivati e quando arrivano nei contesti lavorativi portano un grande contributo di dedizione al lavoro e di innovazione.”

Un percorso che nasce dalla convinzione, spesso sottolineata dagli studi in materia, che luoghi lavorativi totalmente maschili o, come in questo caso, femminili, sono a rischio di patologie di segno opposto che limitano la produzione di un risultato organizzativo ottimale. Il paradosso sociale è che questo fenomeno non viene rilevato, dando per scontato che la cura delle bambine e dei bambini sia un ambito femminile per destino, senza possibilità di cambiamento.
È ora che ci si interroghi approfonditamente su questo fenomeno, ponendo l’attenzione ad un orientamento agli studi e lavorativo che non perpetui divisioni di compiti ormai decisamente superate.

[1] Mapelli, B. (2013). Uomini, educazione e cura. MeTis, mondi educativi. Temi, indagini, suggestioni, Anno III, n°2, (12/2013), http://www.metisjournal.it/metis/anno-iii-numero-2-dicembre-2013-le-periferie-delleducazione-temi/108-interventi/536-uomini-educazione-e-cura.html